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  • Immagine del redattoreFilippo Franchi

La droga fa male, gli uomini anche;

Aggiornamento: 9 lug 2023

“La droga fa male” ha detto un politico qualche settimana fa, al margine di una sentenza sul caso Cucchi; ce lo direbbe anche Stefano se fosse con noi. Nessuno dovrebbe morire di droga, né in un parco pubblico né nella pancia dello Stato e nessuno dovrebbe patire l’ostracismo sociale che soffrono i tossicodipendenti. Uno stigma che li vuole viziosi, al di fuori del comune canone morale. Su Stefano Cucchi e, prima di lui, su Federico Aldrovandi, si sono versati litri di veleno, in primo luogo dalla politica (quando morì Aldrovandi Facebook era ancora un gioco) poi dagli utenti dei social media che nel tempo sono diventati piazze virtuali dove si riversano gli umori della società. Umori che si possono leggere anche in alcuni commenti apparsi su Facebook la settimana scorsa, a latere di un fatto di cronaca avvenuto a Monteroni d’Arbia. Persone comuni che biasimano chi ha salvato la vita a un uomo colto da malore dopo un’overdose, troppo comuni mi verrebbe da dire, tanto da non avere, forse, contezza di ciò che dicono. “La perdita era relativa” chiosa qualcuno, “magari campa anche e non serve proprio a niente, tantomeno alla società” sentenzia qualcun altro. L’approccio sociale alla tossicodipendenza è questo: un turpe giudizio su vite che non si conoscono ma che si ha l’inappropriatezza di giudicare. Gran parte della società nostrana non riesce ancora a vedere oltre il buco della siringa. La grande massa subacquea di quell’iceberg che è la dipendenza da sostanze è ignorata dai più, la fragilità estrema degli individui dediti all’abuso di stupefacenti e, aggiungo, di alcolici, non è percepita e le persone che cadono in nel gorgo della droga restano ai margini, marchiate e oggi, grazie ai Social, che possono rilanciare a migliaia di persone parole che alcuni anni fa sarebbero rimaste confinate all’interno di qualche bar, massacrate mediaticamente. Gli Uomini che azzardano giudizi morali su questo tema fanno male quanto la droga: sono suoi alleati non suoi antagonisti.

Molti anni fa ho fatto il volontario in una comunità per tossicodipendenti: erano i primi anni ‘90 e i ragazzi che trovavo nei centri avevano più o meno la mia età e, incredibilmente, il mio retaggio sociale. Io che mi aspettavo di trovare giovani provenienti dai bassifondi delle città, fuoriusciti da famiglie problematiche con genitori dediti loro stessi alla droga e degradati socialmente, mi trovavo di fronte, perlopiù, ragazzi provenienti da famiglie come la mia, qualcuno addirittura con un buon lavoro. Mi chiesi allora cosa ci differenziasse, perché fossi dalla parte di là della barricata. La risposta fu: molta fortuna, indubbiamente, e vuoti esistenziali che colmavo con altre strategie. Loro no. Loro si aiutavano con l’eroina per affrontare le difficoltà, segno di una fragilità psicologica e vitale di grande portata. Per farlo cadevano in un pozzo senza fondo fatto di malavita, di prostituzione, di umiliazioni continue. Non riuscivano a smettere neppure al fortuito risveglio da un’overdose. Oggi a distanza di quasi trent’anni non è cambiato nulla. La motivazione che porta le persone verso l’abuso di sostanze è la stessa e la ragione che induce i più a giudicarli senza conoscere è ancora quella sicumera di essere dalla parte giusta, perché come mi disse un giorno un mio conoscente: “con tanti problemi che ho avuto io non mi sono mai drogato”. E’ su questo fatto che dovremmo riflettere tutti: si sta dalla parte di qua del fossato non per bravura o furbizia, ma per aver avuto a disposizione strumenti emotivi ed educativi differenti e, in qualche caso, la fortuna di nascere lontano dai luoghi di spaccio. Per questo dovremmo sempre evitare il giudizio su chi si perde nelle sostanze; queste persone hanno bisogno di una mano per riemergere e non di un piede sulla testa che li spinge ancora più a fondo.


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