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Immagine del redattoreFilippo Franchi

Il pericolo di legittimare le macchiette.

Aggiornamento: 15 ott 2023

Nel gergo teatrale la macchietta è il personaggio bizzarro che interpreta una caricatura, potrebbe essere Pulcinella e potrebbe essere Gastone di Petrolini; nel palcoscenico mediatico contemporaneo una macchietta, una caricatura piuttosto grottesca aggiungerei, è stata certamente Mauro Buratti. La morte per Covid di “Mauro da Mantova”, no vax convinto e ospite de La Zanzara, programma su Radio 24 condotto da David Parenzo e Giuseppe Cruciani, apre una riflessione seria sull’uso mediatico delle macchiette, quei personaggi improbabili, che non si sa se ci sono o ci fanno, presi dalla strada e catapultati in tv e in radio per fare audience. Faccio fatica a credere che si possa invitare uno come lui in un programma radiofonico o televisivo con altri intenti se non quello di creare il fenomeno da baraccone, deriderlo e farlo deridere, e mi pongo la domanda se tutto ciò sia serio. Il web ci ha abituato a ogni sorta di nefandezze con la disumanità e l’arroganza dilaganti misti a cattiva informazione a storture della realtà, forse è il momento di fermarci a pensare se non sia il caso di chiudere in un sacco tutta questa spazzatura e gettarla nel bidone dell’indifferenziata. Il personaggio Mauro Buratti, lo ricordiamo bene, è quello che si vantava di aver fatto l’untore in un supermercato andando in giro con 38 di febbre e la mascherina abbassata; si compiaceva di questa sua azione scellerata rivelando una pochezza straordinaria avvalorata da altre affermazioni, non solo sul Covid, che ne hanno scoperto non il lato ribelle come pensa qualcuno (i ribelli sono ben altri) ma, a parer mio, quello narcisista di una persona convinta, dalla spinta dei suoi due facilitatori - Parenzo e Cruciani - di essere diventato qualcuno e di stare nel giusto quando parlava di come trattare sessualmente le donne o faceva battute su Anna Frank. Nel suo epitaffio mediatico all’amico scomparso, lo stesso Cruciani dice: “Eri Belvaman, volevi essere Re, l'interventista radiofonico per eccellenza, eri felice quando qualcuno ti riconosceva per strada e ti chiedeva un selfie.” . Voglia di apparire, di essere riconosciuti, e in questo momento storico, più che in altri, per farlo bisogna essere rozzi, aggressivi, spararla grossa e provocare; da quando la cultura è diventata roba per radical chic e professoroni di sinistra, più si è ignoranti e più si fa ascolto. Qualcuno ci è andato addirittura al governo con queste modalità. Mauro Buratti però non è la prima macchietta usata dal sistema mediatico, è l’ennesima. In questi due anni di Covid possiamo ricordare Angela da Mondello, con la sua famosa frase “non ce n’è coviddi” anche lei prelevata dalla spiaggia siciliana e invitata in televisione, usata come attrazione da circo. Anche alcuni medici accademici, la cui posizione suggerirebbe una maggiore prudenza, si sono prestati al ridicolo cadendo nella trappola della ribalta, con affermazioni estreme poi smentite dalla realtà, che oltre ad aumentare la già abbondante confusione del sistema comunicativo sull'emergenza in corso, gettano discredito sulla medicina alimentando teorie le più strampalate su mascherine, green pass, vaccini e quant’altro. Ma se il prof. Zangrillo potrebbe in qualche modo veicolare un po' di cultura medica e ha gli strumenti cognitivi per non andare troppo oltre, uno come Mauro da Mantova, con le sue espressioni rozze e sgangherate, non aveva certo le difese adeguate per schermarsi dal suo ego e dal personaggio che si era creato e che, per una coerenza a me difficile da capire, lo ha portato nella tomba. Cruciani dice di averci parlato più volte cercando di fargli cambiare idea ma a ben vedere non è stato efficace; forse era il caso di smettere di invitarlo se lo si voleva proteggere da se stesso ma l’obiettivo era lo spettacolo, niente di più. Arrivati fin qui nel ragionamento a qualcuno potrebbe venire in mente di chiedermi la differenza con un Vittorio Sgarbi o, risalendo nella storia televisiva, un Antonio Zequila (il Mutanda); risponderei che, a mio modo di vedere, questi due, pur nelle loro uscite volutamente provocatorie e fuori dai limiti della buona educazione, sono comunque individuati come personaggi televisivi, quasi degli attori che interpretano un ruolo difficilmente replicabile e telecamere spente. Mauro Buratti no, non era un attore, era una persona comune le cui gesta potrebbero essere facilmente emulabili; idee pericolose per la collettività immaginando in quanti potrebbero decidere di copiarlo per tentare i 15 minuti di notorietà. E questo è l'altro lato del problema. Alla fine di questa riflessione dunque rimane il dubbio se sia legittimo, umanamente e deontologicamente, approfittarsi dei deficit culturali delle persone per fare audience. Far credere a un poveretto di essere una star legittimando i messaggi e gli atteggiamenti che produceva, oltre a essere socialmente pericoloso (andare in giro a fare gli untori è un reato penale oltre che essere un’azione scellerata) per me è inumano. Chiudo con le parole di Selvaggia Lucarelli che ieri scrisse un articolo su questo tema sul settimanale Domani (https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.editorialedomani.it%2Ffatti%2Fmorto-mauro-da-mantova-buratti-no-vax-cruciani-la-zanzara-u8kpg5cm&h=AT2fcEaG8HWxheNDMtq0195IIRZohAp-njHSlaEVsFDwtwT05wcmN4esAi4Q3QuSS9k3MsZhz1yZVjxGsc2tnc1pjCbBTAl6X93PwlGzcTbziZt0-FGduZY0oLJsK3z5nWtA&s=1) “La sua morte è la morte di un poveretto trattato da giullare che ha il suono non del monito ma della barzelletta triste. E dovrebbe fare scuola non tanto per i no-vax, ma per chi, tra media e conduttori, usa i no vax nel ruolo delle macchiette per fare un po’ di show. Finché non si scopre che anche le macchiette muoiono e che forse non c’era niente da ridere nel continuare ad applaudirle mentre si sceglievano la lapide.”



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