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Immagine del redattoreFilippo Franchi

I miserabili o la colpa della povertà

Aggiornamento: 13 set 2023

"Finché esisterà, Per colpa delle leggi e dei costumi, una condanna sociale che in piena civiltà, crea artificialmente degli inferni e mescola al destino, che è divino, una fatalità umana; finché i tre problemi del secolo, la degradazione dell'uomo per causa del proletariato, l'avvilimento della donna per causa della fame, l'atrofia del fanciullo per causa delle tenebre, non saranno risolti, Finché sarà possibile in certe sfere l'asfissia sociale; in altre parole da un punto di vista ancor più esteso, finché sulla terra vi saranno ignoranza e miseria, libri della natura di questo non potranno essere inutili.

Hauteville - house , 1 gennaio 1862. "



Questa è l'epigrafe posta all'inizio de "Les Misérables" nella quale Victor Hugo dichiara esplicitamente quali sono le idee in figura che hanno ispirato il suo ponderoso romanzo: i miserabili di Hugo, gli infinitamente poveri che sopravvivono e, come Jean Valjean, sono costretti a una vita di stenti ed espedienti, esuli in una società che li respinge quando non li ignora. A fare da sfondo la miseria, intesa come emarginazione totale e disprezzo, attaccata alla pelle come una colpa, uno stigma da cui non sembra possibile affrancarsi perché quand’anche il miserabile, con l’occasione giusta, diviene rispettabile, quel destino inumano lo ricaccia indietro e lo costringe alla fuga. Nel libro la sorte ha varie sembianze: quelle di Javert il poliziotto o degli spregevoli locandieri Thénardier, tutti, a loro modo, esseri miserabili alla continua ricerca di un ossessivo tornaconto o vendetta personale travestita da sprezzante e sterile senso di giustizia.

La colpa della povertà, diceva Hugo al suo editore italiano, riguarda l’Italia non meno della Francia e se fosse ancora vivo vedrebbe che questa è anch’essa viva tutt'oggi; in questo paese individualista e prono al potere del denaro, gli indigenti, ben otto milioni alle stime 2022, diventano i capri espiatori dei problemi della Repubblica, anche per una valutazione ingenua della vulgata che spesso e volentieri li assimila solo agli stranieri, che qualcuno definisce invasori.

il dibattito degli ultimi mesi che ha visto protagonisti i parvenus della bella società italiana come Briatore, rozzi nel loro ragionare di meriti e demeriti di chi non ce l’ha fatta ad arricchirsi e non ce la fa a tirar su la testa, ha favorito il riemergere del concetto di povertà collegato al fancazzismo, alla mancanza di voglia di lavorare, a quell'essere "lazzaroni" che da almeno due secoli è il sinonimo dell'indolenza italiana, in particolare al sud. E l’interruzione del Reddito di Cittadinanza, tema buttato in pasto agli elettori della destra in maniera acritica e incompetente, nel quale si sono liquidati i percettori del beneficio come infingardi profittatori, ha rinfocolato il trito ragionamento secondo il quale le persone ad alta marginalità sociale preferiscono poltrire, quindi un po’ se lo meritano di essere in quello stato. Ma è veramente colpa dei poveri se mancano loro le opportunità?

“Era lui solo ad aver avuto torno in questa fatale storia? anzitutto non era una cosa grave che a lui, lavoratore, fosse mancato il lavoro, a lui, così operoso fosse mancato il pane?”

si domanda Jean Valjean nel romanzo; e anche se, per aver rubato un pezzo di pane per sfamare i nipoti, finire galeotto per quattro anni nel bagno penale di Tolone non sia un inutile accanimento, anche questo è un fatto che al lettore, non solo al protagonista, dovrebbe far venire il dubbio se quella sia stata vera giustizia o giustizialismo.

La domanda di Valjean ce la dobbiamo porre anche noi, nel 2023 alla luce dei milioni di indigenti che abitano il nostro paese con oltre tre milioni di famiglie in situazione di povertà estrema dove, letteralmente, o si pranza o si cena. Ricordiamo che all’interno di questi numeri ci sono oltre un milione di minori, vale a dire oltre un milione di Cosette. Queste persone sono davvero tutte colpevoli di inanità? naturalmente no, al netto del numero degli approfittatori, che preferiscono vivere di sussidi, gran parte delle persone in grave fragilità socio economica, sono, al contrario, molto utili al sistema economico che può continuare a speculare sul loro bisogno proponendo, ad esempio, contratti capestro con stipendi da fame; sostenere l’ascesa sociale dei ceti popolari significherebbe togliere ossigeno agli sfruttatori che propongono, senza vergogna, retribuzioni da 800 euro al mese e si mostrano in favore di telecamera con il piagnisteo di chi non trova abbastanza schiavi da sfruttare, e quel che è più grave, vengono creduti da buona parte dell’uditorio. Quando più di qualcuno si rifiuta di stare a queste regole inique, viene inserito in quella narrazione che vuole i giovani sfaccendati, che non si vogliono sacrificare, e i percettori del Reddito fannulloni profittatori; paternali che escono dalla bocca di giovani rampolle e rampolli di famiglie agiate che non hanno di certo avuto timori per il loro futuro. La narrazione sul demerito viene quindi affidata a chi non ha merito ma solo la fortuna di essere nato nella famiglia giusta, perché nessuno si chiede come ci si arricchisce ma in tantissimi giudicano chi non lo fa.

La colpa dei poveri è dunque un ipocrita messa in scena di quel ceto politico alto borghese, di una nazione


[...] Terra di infanti, affamati, corrotti,

governanti impiegati di agrari, prefetti codini,

avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,

funzionari liberali carogne come gli zii bigotti


per dirla con Pasolini, che con una mano toglie un sostegno alle masse di uomini e donne marginalizzati, imperfetto quanto si vuole ma per alcuni vitale, dall’altra li butta in pasto a un mondo del lavoro che li potrà sfruttare ancora meglio di quanto non faccia oggi, perché quasi nessuno è capace di rubare il pane per sfamarsi e sfamare i propri figli come Jean Valjean, e cercheranno di guadagnarselo con dignità. Ma faranno fatica perché il continuo rialzo dei prezzi al consumo e la perdita di potere d’acquisto dei salari, farà tenere bassa la testa a chi prova a fare passi avanti, come Fantine che lavora (e si vende) per consentire alla figlia Cosette, in mano ai Thénardier, di avere una vita dignitosa senza sapere che i viscidi locandieri la tengono in miseria per arricchirsi loro stessi sfruttando indirettamente la donna fino alla morte. E quando un sistema è particolarmente osteggiante, gli individui, anche i più resistenti e resilienti, tendono a perdere fiducia in quel sistema e in sé stessi, perdendo forza non per accidia ma per il vuoto che gli si fa intorno.

Il destino dei poveri quindi è aiutare i ricchi a restare tali; quell’ingiustizia di cui Hugo sentiva l’urgenza riparatrice non ha via di scampo, si perpetua nella riproduzione parossistica del potere che rigenera se stesso e fagocita i Miserabili. Spesso sono proprio le persone che stanno loro più vicine a non rendersi conto che il privilegio nutre se stesso, e ostracizzano istanze proletarie con la fobia del Socialismo, portatore di non si sa quali peccati originali, senza immaginarsi che l’appianamento delle diseguaglianze è quanto di più necessario per aiutare veramente i poveri.

“Verrà l’avvenire? ci pare di poterci porre questa domanda quando vediamo tanta ombra terribile [...]”

si chiede Hugo nel romanzo, la risposta è in sospeso, perché è contenuta nell’epigrafe che pone all'inizio: solo quando ignoranza e miseria diventeranno materia di lavoro politico reale e strutturale ci potrà essere una speranza.



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