Sull’onda della mia ultima riflessione sui concetti bulldozer e su una comunicazione mediatica a tratti fuorviante e acritica, mi piace qui ampliare il ragionamento sui contenuti più profondi di questa incongruità. Lo faccio attraverso una rilettura di Dieci Inverni, raccolta di saggi scritti da Franco Fortini tra il 1947 e il 1957.
Fortini, che contemporaneo non è (muore a Milano nel 1994), tocca temi attualissimi relativi alla cattiva informazione mediatica. Chi non spiega è responsabile è il titolo di uno di questi saggi, del 1953, diretto al modo in cui una certa stampa di apparato politico trattava le vicende relative all’allora blocco comunista dell’Est Europeo rimandando notizie volutamente incomplete, quando non addirittura false. Era il periodo del caso Slansky (1) e di tutta una serie di avvenimenti di cui il giornalismo comunista e socialista taceva o edulcorava le informazioni.
“Con monotonia, un certo tipo di avvenimenti torna a proporsi al nostro giudizio e alle nostre passioni. Il processo Slansky, i massacri dei prigionieri di Corea, la condanna di Rosenberg, il complotto dei medici di Mosca, le spie di Berlino. Per ognuno di questi, si sente dire, non fa che ripetersi una delle situazioni tipiche del nostro tempo: l'assenza di dati o la loro difficilissima verifica.” (chi non spiega è responsabile, 1953)
Può sorprendere questa attualità in uno scritto di quasi settant’anni perché la tendenza è quella di immaginarci i problemi contemporanei come qualcosa di assolutamente appartenente all’oggi.
Fortini, artefice di una critica costante e cristallina degli avvenimenti del suo tempo, dove la parola critica va letta come necessità di chiarificazione e di spiegazione del pensiero e delle vicende nel tentativo di crearne un senso, e non nel modo conflittuale con cui oggi si esercita il rimprovero a idee che non ci soddisfano, scriveva ancora qualche anno prima: “Compito dell'uomo di cultura è quello di mantenere aperte le correnti di informazioni, di esercitare la critica; di non accettare nulla per dogma”. (La morale di guerra, 1948).
Per usare un’espressione sua sembra di sognare a leggere queste parole perché sono più o meno le stesse che ci diciamo oggi. Gli strumenti di verifica delle informazioni al tempo in cui Fortini le scrisse, erano soprattutto dati dalla carta stampata oppure dall’esperienza sul campo, come lui stesso esperisce. Oggi abbiamo l’opposto che incredibilmente crea lo stesso problema: un numero smodato di fonti di verifica e media che creano la stessa disinformazione degli anni ‘50. La ridondanza di luoghi, per lo più contenuti nel web, dove si parla di tutto crea smarrimento, soprattutto in coloro che hanno meno strumenti per l’analisi e la critica. E, come per i concetti bulldozer della volta scorsa, si creano filoni di pensiero polarizzati, con confini rigidi che lasciano poco spazio all’interpretazione e al buon senso. Una delle correnti di pensiero più in voga oggi ricalca più o meno quello di Fortini quando dice: “Che i politici della grande informazione non giudichino il loro pubblico degno di essere informato; che, fra costoro, anche quelli della stampa di opposizione non credano opportuno fornire al proprio pubblico il maggior numero possibile di elementi di giudizio [...] è cosa sgradevole e reale” (Da un libro bianco, 1950 - 1953). Una buona parte del pensiero contemporaneo infatti, nel tentativo di non rimanere vittima di un presunto pensiero mainstream ne produce un altro, altrettanto mainstream, e cioè che l’informazione che leggiamo è falsa, i giornalisti sono etichettati come pennivendoli (parola che ricorre come un mantra in migliaia di commenti anche a margine di testate giornalistiche di rilievo) e che per sapere cosa succede nel nostro paese bisogna leggere i giornali stranieri (quest’ultima affermazione è ripresa da un meme trovato in rete che rende chiara la fissazione contemporanea di cui sopra). Naturalmente tutto questo è vero in parte: il giornalismo italiano soffre oggi come ieri dell’influenza della politica ma sapendo cercare, e soprattutto sapendo leggere oltre la notizia, si scampa il pericolo di essere infarciti di menzogne; perché è vero che non vogliamo accettare il dogma ma è pur vero, a parer mio, che esiste un’incapacità diffusa a esercitare l’analisi oggettiva, la scomposizione di ciò che leggiamo per guardarlo pezzetto per pezzetto e dargli un volto più somigliante possibile a una realtà soddisfacente (che non è un termine assoluto). Vogliamo leggere solo la verità - il che non è possibile - e questa verità deve essere uguale al nostro pensiero altrimenti, se ci contraddice, è una fake news.
Ci fidiamo o diffidiamo dunque e quando diffidiamo a chi ci affidiamo? ai guru della cosiddetta controinformazione, come se questa fosse garanzia di affidabilità: un rimedio peggiore del male. Già, perché la controinformazione non è buona a prescindere solo perché è contro, la controinformazione, e, aggiungo, l’informazione, sono buone se contengono l’analisi, il senso di realtà, e i dati oggettivi su cui impiantare la nostra critica, altrimenti sono solo un mucchio di parole vuote che traggono in inganno il lettore meno accorto portandolo in un mondo irreale fatto di complotti e paradigmi fantascientifici. In rete proliferano decine di blog e canali video privi della dovuta capacità analitica e critica, pieni di dati distorti da letture falsate; questi, moltiplicati a dismisura dall’infinito spazio del web, diffondono nella maggior parte dei casi spazzatura culturale spacciata per verità. Come ho già avuto modo di scrivere da qualche altra parte, non tutto può essere vero solo perché a noi fa comodo che lo sia.
Come ci salviamo? l’ho già scritto da più parti: imparando a leggere, e non mi riferisco solo alla scrittura: è necessario andare oltre la figura e vedere anche lo sfondo. Se è vero che chi non spiega è responsabile è altrettanto vero che anche chi spiega male lo è e chi legge male, chi non sa costruire un modello critico basato sui summenzionati dati oggettivi e senso di realtà è pure lui responsabile se si diffonde disinformazione e non si comprendono fatti e società.
Non credere ai dogmi vuol dire non credere ai dogmi di nessuno ed esercitare un lavoro critico incessante mediando la lettura dei fatti con il ragionamento e un minimo di logica, si può e si deve.
“Cosa racconterà in Italia?” mi chiede S., il capitano inglese che mi accompagna, dopo la visita questi Campi, che anche lui vede per la prima volta. Sto per rispondergli: “nel nostro mondo, ormai, i fatti non significano nulla, o solo i più rumorosi. Bisognerebbe solo non dare nemmeno un argomento a chi, sulla stampa di questo come di tutti i paesi si lava la coscienza con la Sowjetische Barbarei; né agli altri, ai miei amici politici. Ma non bisogna neppure lasciar parlare solo i giornalisti di professione. Dirò…” ma il fragore dei quadrimotori del ponte aereo, in atterraggio all'aeroporto di Hannover, mi toglie - come volevasi dimostrare - la parola. (I dannati della terra, 1949).
(Franco Fortini, foto di Cesare Viviani 1966)
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